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Cellulòsiche, Résine.

Vengono indicate con questo nome diverse resine ottenute non per polimerizzazione di uno o più mononeri ma da modificazioni chimiche operate su un polimero naturale, la cellulosa (V.). Questa sostanza è abbondantissima in natura, dato che è il costituente principale di tutte le piante, formando la parete delle cellule vegetali. Non tutta la cellulosa può però essere impiegata per la fabbricazione di resine, dato che deve avere un notevole grado di purezza. S'impiega quindi la cosiddetta |PY401| cellulosa pura, la cui fonte principale sono ancor oggi i linters di cotone. Tuttavia l'uso di cellulosa derivata dalla polpa di legno attraverso un'accurata purificazione sta acquistando un peso sempre maggiore. La cellulosa è un polimero naturale, costituito da molecole di glucosio unite fra loro da un ponte di ossigeno; ogni anello di glucosio ha quindi 3 gruppi ossidrili −OH liberi. Per grado di sostituzione di un derivato cellulosico s'intende il numero di gruppi −OH che mediamente sono stati sostituiti (da derivati acilici o alchilici) per ogni anello di glucosio; questo parametro varia quindi da un minimo di zero ad un massimo di 3. La cellulosa naturale ha un peso molecolare fino a 750.000, corrispondente a 3.600 anelli circa di glucosio collegati fra loro nel modo detto; ne consegue che è infusibile e virtualmente insolubile. I vari processi che preparano derivati della cellulosa, modificano gli anelli glucosici per sostituzione dei gruppi −OH, che producono delle r.c. fusibili e spesso anche solubili. In questa operazione si ha sovente una degradazione del peso molecolare della catena glucosidica: il grado di polimerizzazione (numero medio di anelli di glucosio che costituiscono una catena) si riduce al 30 ÷ 60% di quello originario; questo fatto non influenza però in modo determinante le caratteristiche della nuova r.c. ottenuta, cioè della r.c. modificata. Anche la cellulosa non modificata può pero essere impiegata come r.c. per materie plastiche. Il problema della sua solubilizzazione viene superato trasformandola in prodotti che possono essere solubilizzati e quindi trafilati su filiera per formarne fibre o fogli. Un tipico processo di questo genere è quello alla viscosa. La cellulosa viene aggredita con soda caustica, ottenendo la cosiddetta alcalicellulosa; per reazione di questa con solfuro di carbonio si ottiene un prodotto, detto xantogenato di cellulosa, solubile in soda caustica diluita. Lo xantogenato di cellulosa, ridotto ad una viscosità opportuna, viene quindi trafilato, attraverso filiere aventi dimensioni opportune, in forma di fili o sottili film; appena fuori dalla filiera incontra un bagno acido che lo ritrasforma in cellulosa rigenerata, solida ma molto flessibile. Le fibre così ottenute, note col nome di raion o raion alla viscosa, costituiscono delle pregiate fibre tessili. I film ottenuti con il processo allo xantogenato vengono invece impiegati per avvolgere oggetti o anche alimenti, dato che non hanno la minima tossicità. Tali film cellulosici sono noti soprattutto col nome commerciale cellophane o cellofan: uno degli esempi più comuni di applicazione è l'avvolgimento dei pacchetti di sigarette per mantenere il tabacco alla giusta umidità. Il cellophane tuttavia non è del tutto insensibile all'acqua: il suo comportamento può essere però migliorato di molto depositando sulla sua superficie un film sottilissimo e invisibile di sostanze protettrici, quali ad es. lo ftalato di butile. I film di questo genere hanno in generale spessori variabili da 0,02 a 0,06 millimetri; nonostante questo sono dotati di un'ottima resistenza. In competizioni con queste r.c. naturali, anche se rigenerate, sono invece le r.c. modificate, quali il nitrato di cellulosa, gli esteri cellulosici (acetato, butirrato, propionato) e l'etilcellulosa. Queste r.c. presentano tra loro differenze notevoli, onde saranno trattate separatamente. ║ Nitrato di cellulosa: la prima materia plastica derivata dalla cellulosa fu ottenuta passando attraverso il suo derivato nitrato. La cellulosa viene facilmente nitrata per azione della miscela solfonitrica (acido solforico + acido nitrico) fino ad un grado di sostituzione pari a 3, corrispondente ad un contenuto di azoto del 14,16%. La trinitrocellulosa, come viene anche chiamato il prodotto completamente nitrato, era già impiegata all'inizio del secolo scorso nella fabbricazione di esplosivi; solo nel 1869 G.W. Hyatt brevettò la celluloide, una materia plastica che aveva come base il nitrato di cellulosa. Nella sua formulazione base la celluloide consisteva di una miscela di nitrato di cellulosa e di canfora (30 ÷ 40%), con addizione di sostanze coloranti. Oggi il processo è stato perfezionato. Il nitrato di cellulosa impiegato per questa produzione contiene circa l'11% di azoto (contro il 13 ÷ 13,5% di quello impiegato per la fabbricazione di esplosivi e il 12% circa di quello usato per la preparazione di vernici); differenti gradi di nitrazione come pure diversità fra processo e processo e fra le varie materie prime possono essere causa di diversità nel peso molecolare medio del nitrato, e quindi di viscosità. Basilarmente il plastificante della cellulosa nitrata resta ancora la canfora, in tenori dal 25 al 40%, benché talvolta sia parzialmente sostituita con altri prodotti. L'estere della cellulosa (nitrato) viene mescolato con la canfora ed eventuali altri additivi (quali coloranti); si addizionano quantità limitate di solventi, solitamente alcool etilico, e si mescola in mesticatori fino ad ottenere una pasta di viscosità opportuna. Si passa quindi ad una eventuale operazione di macinazione con mulini a rulli, con l'intenzione di eliminare una parte del solvente. A questo punto il prodotto viene compresso a caldo moderato (pressioni: 100 ÷ 150 atmosfere) in grossi blocchi oppure estruso in barre o tubi. Questi semilavorati grezzi devono essere stagionati per un certo periodo, dipendente dalla mescola originaria e dalle loro dimensioni, per permettere al solvente di evaporare completamente; indi sono tagliati in pezzi di dimensioni minori che vengono commerciati come semilavorati. La lavorazione per ottenere il prodotto finito è di solito meccanica; nonostante questo è possibile la lavorazione a caldo in quanto la celluloide è pur sempre un prodotto termoplastico. La formazione di films a spessore controllato (quali quelli che erano molto usati come supporti di pellicole fotocinematografiche) può essere fatta per successive passate di calandra a freddo o a temperatura moderata. Le caratteristiche principali della celluloide sono la grande stabilità dimensionale, l'elevata resistenza meccanica e la buona stabilità in presenza di acqua. Molto semplice è poi la lavorazione sia meccanica che per stampaggio. I suoi maggiori svantaggi sono l'infiammabilità, accompagnata da un'elevatissima velocità di combustione e l'invecchiamento dovuto all'esposizione ai raggi ultravioletti (contenuti in quantità nella luce solare) che ne altera le caratteristiche, trasformandola da trasparente e tenace in opaca e fragile. Il suo peso specifico è molto basso (0,6 ÷ 0,7), mentre è elevata la resistenza meccanica (300 ÷ 700 kg/cm2 di rottura a trazione); l'allungamento percentuale va dal 5 al 30%. Molto elevata è la resilienza (10 ÷ 12 secondo la prova Izod); il campo d'impiego è solo quello di temperature prossime all'ambiente (rammollisce a 70 ÷ 90°C con perdita di quasi tutta la resistenza meccanica). Possiede una costante dielettrica elevata (6,8 alle radiofrequenze), un'elevata resistività di volume e una buona rigidità dielettrica; per queste ragioni è un ottimo isolante. Il suo impiego in questo campo è però molto limitato dalla sua infiammabilità. L'uso di celluloide è alquanto in ribasso negli ultimi anni proprio per questo motivo: eccetto un numero limitato di casi (spazzole, pettini, oggetti domestici e industriali di importanza limitata) si tende a sostituirla con altre materie plastiche, sovente altre r.c., o non infiammabili o autoestinguenti o almeno a velocità di combustione molto più bassa. ║ Triacetato di cellulosa: si tratta di una r.c. che non è termo-plastica (l'unica di questo tipo fra le cellulosiche) ma che può essere rammollita con l'impiego di solventi opportuni (ad es. una miscela di alcool metilico e cloruro di metilene). Il triacetato prende il suo nome dal fatto che quasi tutti gli ossidrili dell'anello di glucosio della cellulosa sono sostituiti con radicali di acido acetico, vale a dire che la cellulosa è esterificata quasi completamente per formare il suo estere acetico. Il processo inizia con la preparazione della r.c., cioè del triacetato, per trattamento della cellulosa con una miscela di acido acetico e anidride acetica, in presenza di acido solforico con funzioni di catalizzatore. La cellulosa, inizialmente allo stato di pasta fibrosa, si dissolve man mano che la reazione procede; al completamento si presenta come un fluido molto viscoso, abbastanza trasparente. La reazione viene infatti interrotta allorché scompare la tipica lattescenza della massa in trasformazione. Il prodotto così ottenuto, depurato opportunamente, contiene almeno il 43% in peso di gruppi acetilici, corrispondenti ad un grado di sostituzione di 2,9 minimo. Esso può essere impiegato per la fabbricazione di acetato di cellulosa sia per materie plastiche sia per vernice, come si dirà poi, sia per la fabbricazione del triacetato. In questo caso esso non può essere trattato con i mezzi soliti in quanto la sua temperatura di rammollimento è prossima a quella di carbonizzazione: si procede quindi all'incorporazione degli additivi (plastificanti e coloranti) rammollendo la massa di triacetato mediante un solvente opportuno, ad es. la miscela già citata. La materia plastica così ottenuta viene foggiata nei manufatti finiti o semilavorati per colata, iniezione o estrusione, avendo cura di dar modo al solvente di evaporare. Il triacetato, rispetto all'acetato (V. OLTRE), presenta una maggiore stabilità dimensionale, un minor assorbimento di acqua, una maggior resistenza a impieghi ripetuti e un minor invecchiamento. Può essere inoltre facilmente fabbricato in tipi che sono classificati come autoestinguenti dalle norme di sicurezza dei maggior paesi. ║ Acetato di cellulosa: questa resina viene fabbricata con un processo che inizialmente è comune con la precedente: dalla cellulosa si prepara il triacetato come detto prima. Questo viene poi sottoposto ad una parziale idrolisi per ridurre il tenore di acetili al 38 ÷ 40% in peso, pari ad un grado di sostituzione di 2,4 ÷ 2,5; in queste condizioni l'estere così prodotto risulta facilmente fusibile. Questo estere, detto anche acetil-cellulosa, viene lavato con abbondante acqua (o altro solvente) per allontanare i prodotti di reazione indesiderati; il prodotto utile si ritrova in generale in forma di fiocchi facilmente separabili. Per la preparazione della materia plastica si procede all'addizione dei plastificanti, coloranti, ecc. in mescolatori. La mescola viene poi trasferita in altri mescolatori riscaldati, nei quali avviene il rammollimento e l'omogeneizzazione; sovente questi sono delle semplici calandre. Il prodotto così ottenuto viene tagliato in piccoli pezzi e commerciato come tale per essere utilizzato per iniezioni, estrusioni o altre lavorazioni tipiche delle resine termoplastiche. È da osservare che la differenza di proprietà fra le materie plastiche così ottenute dal triacetato non sono dovute tanto all'influenza esercitata sulle caratteristiche del polimesostituente acetilico in più (grado di sostituzione 2,9 circa nel triacetato contro il 2,5 circa dell'acetilcellulosa) ma alla possibilità che ha la r.c. di reagire con le molecole del plastificante. Per rendersi ragione di questo occorre considerare il grado di non sostituzione, che è il completamento a 3 del grado di sostituzione, cioè il numero di ossidrili che restano liberi da radicali acetilici. Nel triacetato restano liberi 3-2,9 = 0,1 ossidrili per ogni anello di glucosio, cioè mediamente un ossidrile ogni 10 anelli. Nell'acetilcellulosa ne restano invece liberi mediamente 3-2,5 = 0,5 per anello, cioè uno ogni due anelli. Si vede quindi come la quantità di molecole di plastificante che l'acetilcellulosa può fissare sia superiore di ben 5 volte rispetto al triacetato: questo basta per spiegare la notevole differenza di comportamento delle materie plastiche derivate da queste due resine. L'acetato di cellulosa plastificato ha peso specifico 1,2 ÷ 1,3 e può essere ottenuto sia trasparente, che traslucido, che opaco. Può essere variamente colorato, ottenendo anche dei bellissimi effetti iridescenti, sfruttati per oggetti decorativi o bigiotterie (ad es. perle finte), Secondo le varie formulazioni la temperatura di rammollimento varia su un ampio campo (da 40 a 150 °C). Le caratteristiche meccaniche sono buone: il carico di rottura a trazione si aggira sui 380 kg/cm2; l'allungamento a rottura sul 13%. Ottime sono anche le caratteristiche elettriche: alta rigidità dielettrica, alta costante dielettrica, alta resistività di volume. L'elevato fattore di perdita ne preclude però l'impiego nel campo delle microonde (ad es. quelle utilizzate nelle apparecchiature radar); per contro permette la saldatura di parti per riscaldamento con microonde. Per quanto riguarda la resistenza chimica, l'acetato di cellulosa presenta un assorbimento di acqua troppo elevato (2 ÷ 6%) per essere impiegato continuamente ad umido. Resiste bene agli alcali e agli acidi minerali diluiti. Fra i solventi organici viene attaccato dagli esteri e dai chetoni, mentre resiste molto bene agli idrocarburi anche aromatici. L'acetato di cellulosa, disponibile anche in formulazioni autoestinguenti, è la più economica fra le r.c. (se si eccettua il nitrato, che presenta i gravi svantaggi detti) comparativamente con le sue caratteristiche il prezzo è molto basso anche in relazione ad altre r.c. termoplastiche. Il suo elevato peso specifico fa si che i manufatti finiti abbiano però un costo comparativamente alquanto elevato, cosa che preclude l'applicazione di questa materia plastica in molti campi. La sua facile lavorabilità (per stampaggio, iniezione, soffiatura, formatura sotto vuoto, ecc.) compensa solo parzialmente questo svantaggio di costo. Si può quindi affermare che i casi di impiego di questa r.c. sono in generale giustificati soprattutto in virtù delle sue eccellenti caratteristiche generali. L'acetato di cellulosa viene impiegato soprattutto in forma di fibra (80% del consumo circa) per l'industria tessile (V. FIBRE TESSILI), nella quale è noto come acetato o fibra di acetato, come pure con vari nomi commerciali. Altri esempi di applicazioni soddisfacenti si hanno nei campi più diversi: nastri adesivi, film per avvolgere oggetti, giocattoli, maniglie per porte, impugnature di utensili, corpi di radio e televisori, parti di elettrodomestici, automobili e telefoni, tubazioni per oli minerali di acqua salata, corpi di interruttori e prese di corrente e così via. La produzione italiana supera le 10 mila t/anno, delle quali viene esportato il 20% circa. ║ Altri esteri cellulosici: le proprietà sia meccaniche che elettriche che di lavorabilità dell'acetilcellulosa possono essere migliorate se alcuni dei gruppi ossidrilici della cellulosa vengono fatti reagire non con radicali acetilici ma con radicali di acidi superiori dell'acido acetico, quali il propionico o il butirrico. Si hanno così delle r.c. che sono dette comunemente acetatobutirrato di cellulosa (o acetobutirrato) e propionato di cellulosa. L'acetobutirrato è composto da cellulosa i cui idrossili sono sostituiti in parte da acetili e in parte da butirrili; il tipo adatto per materie plastiche contiene circa il 26 ÷ 40% in peso di gruppi butirrilici e il 12 ÷ 15% di acetili (la somma delle percentuali ponderali è naturalmente superiore al 43% prima visto perché i gruppi butirrici sono più pesanti degli acetili). Il propionato di cellulosa contiene il 38 ÷ 45% in peso di gruppi propionilici e il 2 ÷ 10% di acetili. Formulazioni notevolmente diverse da queste sono impiegate per la fabbricazione di r.c. di questo tipo ma adatte all'impiego nella preparazione delle vernici. Anche nella preparazione del propionato di cellulosa (abbreviato: CP) e dell'aceto-butirrato di cellulosa (abbreviato: CAB) si conclude la reazione in due stadi; prima si raggiunge il massimo grado di sostituzione e poi si idrolizza fino al grado voluto. La reazione è perfettamente analoga a quella già citata, con la sola sostituzione di una parte dell'anidride acetica con anidride propionica (per il CP) o anidride butirrica (per il CAB). Anche il procedimento di fabbricazione non differisce molto da quello visto prima per l'acetato di cellulosa; la diversificazione più notevole consiste nel fatto che il CP e il CAB sono spesso commerciati anche in forma di polveri, adatte per lo stampaggio o per rivestimenti di materiali con la tecnica del letto fluido. Rispetto all'acetato, il CP e il CAB presentano superiori caratteristiche meccaniche, miglior resistenza alle condizioni ambientali (esposizione al sole e agli agenti atmosferici), miglior lavorabilità. Fra i due materiali, il CP ha le miglior caratteristiche. Oltre a tutte le applicazioni proprie dell'acetato, il CAB e il CP sono impiegati anche per la fabbricazione di catarifrangenti, cartelli stradali, spazzole e spazzolini per denti, parti di penne stilografiche o a sfera e così via. Una delle applicazioni minori è la fabbricazione di supporti per pellicole fotocinematografiche, non tanto perché questa produzione sia limitata ma perché si preferisce pur sempre usare il triacetato (V. SOPRA), dotato di una maggior stabilità dimensionale e maggior resistenza al calore oltre che a trazione. In certi casi (ad es. pellicole ad alta stabilità dimensionale) i supporti sono fabbricati con altri esteri diversi da quelli della cellulosa. ║ Etil-cellulosa: questa r.c., pur essendo anch'essa derivata dalla cellulosa, è chimicamente ben diversa dalle precedenti in quanto gli ossidrili degli anelli di glucosio non sono in essa esterificati come nel nitrato, acetato, triacetato, CP e CAB, ma vengono trasformati in eteri. Si passa quindi da un gruppo ―OH ad un gruppo di tipo ―O―CH2―CH3, per cui l'etil-cellulosa è un vero e proprio etere etil-cocellulosico; la reazione con cui viene prodotta l'etil-cellulosa procede in due stadi. In un primo tempo si tratta la cellulosa con soda caustica, ottenendo alcalicellulosa. Per reazione di questa con cloruro di etile si ha formazione di etil-cellulosa e di cloruro sodico. Omettendo di scrivere la molecola di cellulosa, cioè indicando solo il gruppo ―OH interessato dalla reazione, si ha il seguente schema:

―OH + NaOH → ―O―Na + H2O

(formazione dell'alcali-cellulosa); segue una reazione del tipo:

―O―Na + C2H5 ―Cl → ―O―C2 H5 + NaCl

che è la formazione di gruppo etossilico. L'etil-cellulosa utilizzata per la preparazione di materie plastiche ha un contenuto di gruppi etossilici del 44 ÷ 48% in peso, equivalenti ad un grado di sostituzione di 2,2 ÷ 2,45. Più grande è la percentuale di gruppi etossilici, maggiore è la compatibilità con i materiali usati nell'industria delle vernici e coi plastificanti, mentre minore è la temperatura di rammollimento. L'acetil-cellulosa preparata per essere utilizzata dall'industria delle vernici e lacche, come pure per rivestimenti a caldo, contiene una percentuale maggiore di gruppi etossilici (46 ÷ 49,5% in peso, corrispondenti ad un grado di sostituzione di 2,3 ÷ 2,53). L'acetilcellulosa preparata per materie plastiche presenta una viscosità variabile con il contenuto di gruppi etossilici come pure con il peso molecolare medio delle molecole di cellulosa eterificata. Essa viene caricata con le solite sostanze (coloranti, plastificanti, ecc.) e posta in commercio in fogli oppure in polveri o graniglia per estrusioni e stampaggi. La sua elevata compatibilità con moltissimi composti, se pure la rende meno resistente agli agenti chimici (ad es. è attaccata anche dagli idrocarburi), permette l'impiego di una vastissima gamma di cariche che impartiscono al prodotto finale le proprietà più disparate. L'etil-cellulosa presenta un peso specifico di 1,09 ÷ 1,17, un carico di rottura a trazione di 150 ÷ 550 kg/cm2 e un allungamento a rottura che va dal 5 al 40%. Ha un basso assorbimento di acqua e, con cariche opportune, presenta una buona resistenza all'invecchiamento anche se esposta all'azione della luce solare. Si presenta trasparente (con una leggera colorazione ambra) ma può essere anche ottenuta traslucida od opaca; accetta una vastissima serie di coloranti. Formulazioni speciali presentano alta temperatura di rammollimento o buone caratteristiche elettriche (alta rigidità dielettrica e basso fattore di perdita) o sono del tutto atossiche e quindi sono indicate per l'uso a contatto con sostanze alimentari. Una caratteristica precipua di questa r.c. è poi l'elevata resistenza alle temperature molto basse. Le applicazioni dell'etil-cellulosa non sono molto differenti da quelle delle altre r.c. (acetato, CAB e CP); il suo uso è sovente in alternativa ma diventa dominante nel campo dell'elettronica (parti di interruttori, fissaggi per cavi, guaine, scatole di derivazione, ecc.). ║ Altri eteri cellulosici. Di minore importanza sono le r.c. ottenute sempre da cellulosa eterificata. Fra i più comuni sono la metil-cellulosa (gruppo sostituente: ―O―CH3), la benzil-cellulosa (sostituente: ―O―CH2―C6H5), carbossimetil-cellulosa (sostituente: O―CH2―COONa) e la idrossietil-cellulosa (sostituente: ―O―CH2―CH2―OH). Queste resine vengono utilizzate per la fabbricazione di materie plastiche, ma trovano impiego in vari campi per la fabbricazione di appretti per tessuti, colle, emulsionanti, addensanti, per trattamenti superficiali idrorepellenti e così via.